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Intervento di Mons. Nunzio Galantino

Mons. Galantino, Segretario Generale della CEI, durante la veglia ecumenica a Roma 2017

«Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo».

Una considerazione di carattere letterario può aiutarci a cogliere tutta la forza e la portata di questa espressione.

Nei versetti immediatamente precedenti (Mt 5,1-12), Gesù aveva proclamato le Beatitudini. Per cui quel «Voi siete sale… voi siete luce» non è una definizione che Gesù intende dare dei suoi discepoli! Piuttosto, dopo aver proclamato le Beatitudini, Gesù intende dire ai suoi discepoli: Vedete, che solo se la vostra vita è spesa nella logica delle Beatitudini … voi siete sale e luce della terra; solo se vivete nella logica delle Beatitudini la vostra presenza contribuisce a dare gusto alla vita vostra e degli altri, sapore e splendore all’ esistenza vostra e a quella degli altri.

Ho voluto fare questa premessa perché molti tra noi pensano ancora che basti presentarsi come “cristiani” perché ci venga subito dato credito, perché ci venga riconosciuta la funzione di “luce” (punti di riferimento) e di “sale” (portatori di senso). Un discorso – questo – che vale per tutti noi, probabilmente anche per tutte le tradizioni cristiane e per gli appartenenti ad ogni fede. Credo infatti si tratti di una tentazione che può toccare ogni uomo, di qualsiasi estrazione, anche al di là di una sua appartenenza religiosa. C’è addirittura chi pensa che basti presentarsi vestiti in un certo modo o usare un certo linguaggio per essere automaticamente accreditati come persone che danno gusto e senso nuovi alla vita!

Presentandoci le Beatitudini e facendo subito seguire quel «Voi siete sale … voi siete luce», Gesù ha indicato la strada che è chiamato a percorrere il credente. Il discepolo di Gesù è chiamato a seguire una segnaletica ben definita, quella delle Beatitudini, fatta di passione per le opere di pace, di attenzione misericordiosa verso gli altri, di vita vissuta nella povertà e segnata dalla sobrietà. É questo che dà senso e gusto alla vita del credente, facendone una vita che risplende.

Spesso piuttosto che diffondere gusto e dare splendore attraverso gesti e scelte concreti, come ci domanda Gesù, noi ci impegniamo (più spesso, ci “arrabattiamo”) a dimostrare, ad argomentare. Anziché accendere la luce, preferiamo organizzare qualcosa di mastodontico e di grandioso per …stupire!

Ma il Vangelo non è questo che ci domanda! Ci dà invece un’indicazione che rasenta la banalità quando afferma che l’amore non si dimostra, l’amore si vive; e proprio perché lo si vive, l’amore non si dimostra ma si mostra. Il gusto autentico delle cose, non si dimostra, lo si realizza. La luce non va dimostrata, la luce va accesa e perciò stesso resa visibile.

Quando Gesù dice «Voi siete sale … voi siete luce», è come se ci dicesse: Volete far conoscere Dio? Non argomentate su di Lui, non dimostrate niente; fate piuttosto qualcosa di concreto; ma talmente bello, talmente sensato e gustoso … che, a chi vi incontra, venga spontaneo dire: ma è davvero bello quello che tu fai e vivi! Chi te lo ispira? In nome di chi lo fai?

Così Dio vuole essere presentato e testimoniato! Con la stessa forza ed evidenza della luce; con lo stesso sapore forte del sale: attraverso scelte e gesti concreti, che danno gusto e contagiano senso di vivere.

Molte nostre scelte pastorali, e anche i molti modi che possiamo avere nel porci in confronto con la società in cui viviamo, soprattutto quelli che non vanno in questa direzione, rischiano di essere dei diversivi. Rischiano di essere un modo per occultare l’unico procedimento che il Vangelo ci propone: quello della evidenza/testimonianza; che vuol dire fare scelte e porre gesti che rendono evidentemente “gustosa” la vita vissuta con Cristo. Se la vita del credente si presenta così, come una vita che ha un senso, un sapore e un gusto tali da renderla una vita riuscita … allora, anche i contenuti che cercheremo di trasmettere avranno un senso diverso!

Allora, che significa essere luce, sale? Cosa può dare gusto e solarità alla nostra vita di credenti?

Può farlo l’impegnarsi ad aprire nuove strade e a ipotizzare nuove possibilità, osando di più e lottando contro il fatalismo e l’assuefazione: due malattie mortali, non solo per il credente!

Dobbiamo tornare a sorridere e far sì che a chi ci incontra torni il sorriso. Il sorriso, perché si sente compreso, perché incontra gente che non sopporta lo spirito guerrafondaio e discriminante delle “anime piccole”. Dobbiamo tornare a sorridere e a contagiare sorriso perché il nostro essere luce illumini senza pretendere di accecare; e il nostro essere sale dà un gusto delicato senza la pretesa di omologare tutto. Pensate quanto fastidio provoca una luce che acceca e quanto disgusto c’è in una pietanza con un eccesso di sale!

Essere luce e sale nel rispetto di quanti ci incontrano! Quanta delicatezza è richiesta, soprattutto oggi, al credente!

Non ricorderemo mai abbastanza quello che Pietro raccomanda ai destinatari della sua prima lettera: «Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni. Ma fatelo con mansuetudine e rispetto, e avendo la coscienza pulita…». (1 Pt 3, 15s.)

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Preghiamo con Matteo 5, 13-16
Signore,
Tu mi chiedi di essere “sale”.
Mi chiedi cioè di rimanere a contatto con la terra,
di essere presente nel mio tempo,
qui ed ora.
Attento ai bisogni miei e a quelli
di coloro che mi stanno intorno.
Mi chiedi di essere “luce”,
in un momento in cui
la tenebra sembra farsi più spessa.
La luce mi permette di vedere il contorno e i colori delle cose,
della realtà e del mondo,
nelle loro sfumature, nella loro bellezza.
Ma permette anche di conoscere i loro innumerevoli bisogni.
Dài sapore, Signore, alla mia vita;
dài consistenza alle mie speranze;
dài fiducia alle mie paure;
dài luce alle mie oscurità,
e pace al mio cuore, ai miei pensieri, alle mie emozioni.
Fammi capire, Signore,
che sarò “sale”, se saprò essere mite,
in questo tempo di arroganza;
uomo di pace,
in questo tempo di prevaricazione;
libero dalle “cose”,
in questo tempo in cui
la persona “vale” in ragione
del conto in banca che possiede.
Fammi capire che sarò davvero “sale” e “luce”
se sarò impegnato a denunciare ogni sfruttamento in un Occidente
che ha fondato il proprio benessere sull’ usurpazione.
Sarò “sale della terra” se, con e nel mio ambiente,
non mi tirerò indietro dinanzi ai bisogni degli altri.

Intervento di Andrea Riccardi

Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità di Sant’Egidio, durante la Veglia ecumenica a Roma 2017

Cari amici,

non nascondiamocelo: molti europei si sentono smarriti e spaesati. Dove va l’Europa? Resisterà alla tentazione di separarsi? L’Europa sembra non proteggere più i suoi cittadini. Anzi si prova a percorrere la strada inversa a quella dei Padri fondatori dell’Europa, che avevano memoria viva dell’orrore della guerra, dei muri di odio, dei lager e delle rovine. Oggi è scomparsa la generazione che ricorda quella storia. Si guarda poco alla storia, presi dal presente di una politica di emozioni e angosce. Lo stesso ricorso alla guerra torna a essere considerato troppo “normale”, mentre è folle per chi ha visto anche ieri –in Iraq o in Libia- come la guerra produca guerra.

L’Europa non vive, se non ha memoria. Saremo il continente del futuro, se saremo quello della memoria. Ebbene va ricordata la grande pace, settant’anni, costruita saldamente dopo secoli di guerre. E’ il frutto dell’Europa unita: la pace ha portato prosperità, sviluppo di una cultura dalle radici antiche. E’ una realtà che s’impone evidente, più delle emozioni e delle paure che dominano il presente. Questa Europa è la nostra pace e la nostra prosperità.

La sua crisi è venuta, quando l’hanno bloccata gli egoismi: nazionali, di gruppo, d’interessi, alla fine personali. L’hanno bloccata nello slancio, per cui l’Europa non ha compiuto il salto che l’avrebbe fatta protagonista della scena mondiale, con una politica estera e della difesa in comune. Non solo la pace per l’Europa, ma una politica comune di pace per il Mediterraneo, i Balcani, l’Africa, il mondo. “Europa, forza gentile” –diceva Tommaso Padoa Schioppa. Gli egoismi rischiano oggi di bloccarla e di divorarla dall’interno. Spingono a ritornare padroni dei destini nazionali e a vedere negli altri una minaccia. Così riacquistano valore le frontiere: verso gli immigrati, tra giovani e anziani, tra i ricchi e i fragili, tra Europa del Nord e del Sud.

Le frontiere possono diventare muri: si pensa che allontanino le tragedie del mondo. La crudele guerra in Siria, durata sei anni, più della prima guerra mondiale, coinvolge anche l’Europa. I muri illudono di proteggere: in realtà manifestano decadenza. Sono la linea Maginot della sconfitta morale e politica dell’Europa.

Nel mondo globale, la storia non ha argini, ma richiede attori forti e coesi. Richiede di avanzare uniti e non di indietreggiare alla ricerca di ripari per gruppi o nazioni, perché c’è un nuovo tempo globale. Non si torna indietro. Gli Stati nazionali autosufficienti sono una barca per navigazioni d’altri tempi. Dobbiamo fare i conti con le dimensioni della sfida e della vita di oggi: non serve mettere la testa nella sabbia. Un’Europa chiusa o divisa sarà sommersa dai mercati e dai giganti economico-politici in un mondo globale e interdipendente. Sugli scenari della globalizzazione, ci vuole più Europa, se vogliamo sia la terra dei giovani, se vogliamo sopravviva la nostra identità umanistica, religiosa e dei diritti: non basta sia solo la terra che protegge noi pensionati per qualche anno. E un mondo senza Europa, mancherà di una forza di pace e di sapienza storica.

Siamo raccolti tra cristiani. L’idea europea non fu confessionale, ma molto cristiana: crebbe con la passione delle Chiese di allora. Ma oggi, quando l’Est e l’Ovest vanno per strade diverse; quando vacilla il grande disegno europeo, che esprime un’estroversione cristiana del continente, dove sono le voci dei cristiani? e quelle delle Chiese? Quando le frontiere si fanno muri di fronte ai rifugiati, dove queste voci? Quando questo mondo è a rischio di guerra, c’è spesso silenzio.

La forte voce di papa Francesco –si pensi al discorso per il Premio Carlo Magno- resta solitaria in un cristianesimo, frammentato come l’Europa, poco capace di uscire dagli egocentrismi di gruppo o ecclesiastici, incapace di nutrire una visione. Possa questa preghiera comune, possa la Parola di Dio come ai tempi dei profeti, far crescere una grande visione per il nostro tempo nei cuori e nelle menti. Bisogna riprendere a pensare ed agire, alla grande, con una visione, perché troppo a lungo abbiamo vissuto tempi di strette misure e di parole senza luce. Scriveva Karol Wojtyla, in anni in cui l’Europa era divisa con un duro muro: “il mondo soffre soprattutto per mancanza di visione”.

Intervento di Gerhard Pross

Gerhard Pross, moderatore di Insieme per l’Europa, durante la Veglia ecumenica a Roma 2017

Insieme – per – l’Europa. Non si può rendere in modo più preciso di così quello che è importante per noi: Insieme per l’Europa”.

Siamo una rete ecumenica di 300 Comunità e Movimenti cristiani. Proveniamo da più di 30 Paesi europei, dagli Urali all’Atlantico, parliamo lingue diverse, viviamo in culture diverse e apparteniamo a Chiese diverse: siamo cattolici, evangelici, ortodossi, anglicani, di Chiese libere. Tra  noi si vivono  spiritualità molto diverse.

Eppure siamo convinti, avendolo sperimentato, che l’unità è possibile. Il nostro cammino comune è iniziato con una profonda esperienza di riconciliazione tra un gruppo di responsabili. L’unità è diventata possibile.

Viviamo un’unità nella diversità. Ognuno resta nella sua originalità. Ma dalla riconciliazione  per mezzo di Gesù Cristo, nasce la forza di sperimentare la diversità dell’altro come ricchezza.

In modo speciale ricordiamo qui tre figure di fondatori, che ora ci accompagnano dal Cielo: Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei focolari, che ha dato l’impulso iniziale; Helmut Nicklas, responsabile del CVJM (YMCA) di Monaco, che è diventato l’architetto di Insieme per l’Europa; il cardinale Miloslav Vlk, che è stato tra  noi in modo speciale il ponte vivo tra carisma e ministero.

Quando nel maggio del 2004 abbiamo invitato a Stoccarda ad un grande Evento con 10.000 partecipanti, l’Europa era sull’onda positiva dei nuovi Paesi che si erano aggiunti all’Unione Europea. Molto diversa era la situazione nell’estate del 2016 in occasione di un grande Congresso e di una Manifestazione pubblica che abbiamo realizzato a Monaco di Baviera solo 3 giorni dopo la Brexit. Noi abbiamo avvertito e avvertiamo tutt’ora: L’Europa vive un tempo di sconvolgimenti. L’Unione Europea va di crisi in crisi.

In questo  tempo costellato da atti di terrorismo, con migliaia di persone, lì a Monaco abbiamo affermato pubblicamente, con chiarezza e ad alta voce  il nostro SÌ all’Europa. “All’insieme in Europa non ci sono alternative”. Con queste parole della Costituzione dell’Unione Europea abbiamo iniziato il nostro Messaggio di Monaco.

Posso dirlo in modo personale come portavoce di Insieme per l’Europa? L’evento di Monaco mi ha profondamente toccato ed ha posto l’Europa al primo posto sulla mia agenda. Da 17 anni siamo insieme sulla stessa strada, ma mai come oggi è stato così importante  esprimere il nostro SÌ all’Europa.

  • In un’epoca in cui prendono quota il populismo, gli egoismi ed i nazionalismi, diciamo il nostro SÌ ad una cultura del rapporto e dell’alleanza.
  • In un’epoca in cui i cattivi fantasmi che ci hanno portato più volte alla catastrofe, ritornano a farsi vivi, diciamo il nostro SÌ al Vangelo, alla riconciliazione e all’amore.

All’interno dei nostri Movimenti dobbiamo risvegliare la coscienza dell’urgenza del nostro SÌ all’Europa.

Noi come Comunità e Movimenti non dobbiamo tralasciare di esprimere pubblicamente il nostro SÌ all’Europa.

Noi ci impegniamo per un’Europa dell’insieme. Per un’Europa che riconosce la diversità come ricchezza e vive insieme in pace ed in unità. E, non da ultimo, per un’Europa alla quale Dio, nel corso della storia, ha affidato una missione: l’insieme di cielo e terra, l’insieme di fede ed incidenza sul mondo, perché nel Crocifisso si incontrano cielo e terra.

Ed oggi – ma non solo oggi – alla vigilia delle celebrazioni per  i 60 anni dei “Trattati di Roma” ci raduniamo per pregare e per ribadire, come Comunità e Movimenti cristiani, che contiamo – oltre che sul nostro impegno – sull’aiuto essenziale di Dio.

L’Europa ha bisogno della nostra preghiera.

Intervista a David-Maria Sassoli

David-Maria Sassoli, Europarlamentare italiano del Partito Democratico, durante la Veglia ecumenica a Roma 2017

“Far vedere al mondo che la fraternità e l’unità, nonostante le differenze culturali e confessionali, sono possibili”. È con questo obiettivo che si è tenuta a Roma, nella Basilica dei XII Apostoli, una veglia di preghiera ecumenica per l’Europa.

Tra i presenti all’evento anche l’On. David Sassoli, Europarlamentare italiano del Partito Democratico. Lo abbiamo intervistato:

Onorevole Sassoli, alla vigilia del 60.mo anniversario dei Trattati di Roma, che hanno segnato la nascita dell’Unione Europea, da più parti si osserva come l’Europa abbia smarrito le sue radici cristiane, concentrata com’è su finanza, burocrazia e interessi nazionali, incapace di solidarietà e accoglienza,  e di progettare uno sviluppo centrato sulla persona. Cosa ne pensa?

“Bisogna innanzitutto che i cristiani si facciano sentire un po’ di più e devono esserci reti nel mondo cristiano che diano il testimone ad altri. Perché ci sono valori condivisi, come la pace, la convivenza, la solidarietà, la giustizia che hanno certo una matrice cristiana, ma oggi sono assunti come paradigma di impegno politico, culturale, morale da parte anche di cittadini che cristiani non sono. Sono questi gli elementi che fanno l’identità europea: ecco perché i cristiani devono essere molto contenti perché nell’identità europea si ritrovano valori che sono propri del mondo cristiano. Ma in questo momento abbiamo la necessità di spiegarlo bene ai nostri cittadini, perché l’Europa fa paura, mette ansia, sembra un peso, e invece abbiamo bisogno di fare dell’unità degli europei il valore per giocare la grande scommessa di questo secolo che sarà dare forma al mercato globale. La globalizzazione senza regole diventa marginalizzazione, povertà, miseria, può essere catastrofica per tante aree del pianeta. La grande scommessa dell’Europa è dare regole e valori al mondo. Perché le regole del mercato senza la difesa dei diritti umani, il senso della libertà e della democrazia, sarebbero soltanto delle leggi economiche che fanno prevalere il più forte e questo non lo vogliamo. Allora, la scommessa è questa: i valori cristiani che sono all’origine dell’identità europea oggi sono l’elemento per giocare la grande sfida mondiale”.

Per superare il divario fra i Paesi economicamente più forti e quelli che stanno crescendo, si parla di una Europa “ a due velocità”, che ne pensa?

“Se questo vuole dire che ci sarà un’Europa di serie A e una di serie B allora non va bene. Invece se significa che alcuni Paesi possono associarsi, come previsto dal Trattato di Lisbona, come cooperazione rafforzata e scommettere su delle politiche comuni che non stravolgano gli standard europei questo è interessante. Abbiamo fatto l’euro così, con una cooperazione rafforzata che è partita da dieci, undici Paesi e poi altri si sono aggregati. Questo è un buon metodo perché in effetti nei meccanismi europei l’unanimità è difficile da trovare. Se ci fossero per esempio Paesi come Francia, Italia, Spagna, Germania, Belgio e altri che scommettono su una difesa comune ben venga: avremo un nucleo che parte e tira la volata e poi altri che si aggregano”.

Si è parlato molto della necessità di rivedere i Trattati. Anche Papa Francesco lo ha sottolineato nel suo discorso al Parlamento Europeo, nel maggio scorso, in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno. In che direzione vanno modificati?

“Dovremmo arrivare a cambiarli, io sono per arrivare ad una Costituzione europea, ma devo dire con realismo e dispiacere che in questo momento riaprire la discussione sui Trattati può essere molto pericoloso, bisogna essere prudenti. Se riaprissimo ora la questione di Schengen cosa ne verrebbe fuori da questa Europa e con questi Governi così nazionalisti? Governi che hanno paura delle invasioni degli immigrati. Meglio ora concentrarci su alcune politiche che possono sviluppare più Europa perché è di questo che abbiamo bisogno al di là delle Istituzioni, delle regole e dei trattati”.

Claudia Di Lorenzi

Intervista a Luca Maria Negro

Luca Maria Negro, pastore battista, Presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), durante la Veglia ecumenica a Roma 2017

Un evento come quello di stasera, in cui diverse chiese cristiane si ritrovano unite a pregare mostra che l’unità nella diversità è possibile. Come si concilia l’affermazione e la tutela della propria identità e delle tradizioni con l’incontro e l’apertura verso l’altro?

“Come movimento ecumenico noi sperimentiamo questo da almeno 50 anni, perché il movimento ha come slogan uniti ma diversi, uniti rispettando i carismi che le diverse chiese anno. Si tratta anche dello slogan dell’Unione Europea, non sappiamo se consapevolmente preso dal movimento ecumenico, ma crediamo che sia oggi più che mai valido. Purtroppo sembra che l’Europa abbia perso l’anima. Non siamo arroganti e non vogliamo dire che siamo noi l’anima dell’Europa, ma come chiese vogliamo testimoniare con forza che l’ecumenismo, il dialogare insieme, il costruire delle società che dialogano, il promuovere l’ecumenismo laico della società sia fondamentale”.

Recuperare i valori cristiani che fondarono l’Europa significa offrire un patrimonio valido per tutti i popoli, non solo per i cristiani…

“Come protestanti non sottolineiamo in maniera particolare il recupero dei valori cristiani, perché sembrerebbe volerli imporre anche a chi non ha la nostra stessa fede. Però ci sono dei valori come quelli del dialogo e della solidarietà che sono anche cristiani e che possono essere condivisi da tutti gli uomini di buona volontà. È su questo che puntiamo, sulla riscoperta di quei valori su cui è nata l’Europa perché sì, non dimentichiamo che molti cristiani hanno contribuito alla crescita dell’Europa, ma c’erano anche molti laici a fondarla. In questi giorni abbiamo ricordato che il Movimento Federalista Europeo è nato in Italia nella casa di un valdese, Mario Alberto Rollier, ma con lui c’erano persone laiche come Altiero Spinelli, e tutti si sono ritrovati insieme lavorando per costruire un’Europa unita”.

Come si educa, concretamente, al dialogo?

“Come si impara a camminare? Camminando. Così vale per il dialogo. Bisogna iniziare, uscire da se stessi. Si faranno degli errori certamente, perché a volte è facile, pur non volendo, ferire l’altro e la sua sensibilità. Sotto questo profilo il movimento ecumenico ha certamente molte esperienza da condividere co coloro che si affacciano per la prima volta al dialogo”.

Claudia Di Lorenzi

Intervista a Donato Falmi

Donato Falmi, corresponsabile del Movimento dei Focolari di Roma, durante la Veglia ecumenica a Roma 2017

Guardando a questa Europa di oggi, divisa e smarrita, ci sembra che l’intuizione di Chiara Lubich, nel lontano 1999, di dare avvio alla costituzione di una rete ecumenica internazionale dei movimenti cristiani sia stata profetica…

“È profetica perché pare proprio che Chiara avesse previsto che l’unità dell’Europa non era cosa facile, e quindi che ci volesse una forza spirituale di fondo, magari nascosta, ma talmente forte da andare contro quelle correnti disgreganti e negative che oggi ci sono. Quando Chiara lanciò quest’idea in fondo l’Europa era ancora un ideale che tutto sommato “tirava”, oggi siamo in un momento in cui serve riscoprirla. E se non avessimo fatto questo cammino e se non avessimo sviluppato questa coscienza di questo oggi non si sarebbe capaci. È una concretizzazione, al di là di tutte le dichiarazioni di principio, per ridare all’Europa la sua dimensione cristiana, porre di nuovo il cristianesimo a fondamento dell’Europa (…). Questa esperienza che si sta facendo insieme a livello di chiese e movimenti appartenenti alle diverse anime cristiane dell’Europa – perché il cristianesimo è una realtà sola ma con tante espressioni – forse è la proposta più concreta per dire che l’Europa ha un fondamento cristiano. In questo senso è geniale”.

Papa Francesco ha sottolineato che per costruire una Europa più unita e solidale serve il dialogo. Il Movimento dei Focolari, fin dalla sua costituzione, ha trovato proprio nel dialogo una strada feconda per l’unità. Che significa dialogare e come si impara l’arte del dialogo?

“Qui c’è un’intuizione fondamentale, che è una riscoperta che Chiara fa della natura stessa di Dio, che è amore. Se vogliamo tradurre la parola amore con un termine che esprima la dinamica delle relazioni possiamo usare la parola dialogo. Cosa c’è di più dialogico dell’amore? E d’altra parte senza l’amore un vero dialogo non c’è, perché il dialogo comporta comunque l’accoglienza dell’altro, e quindi comporta una dimenticanza di sé che non significa negarsi ma vuol dire saper fare un passo indietro per accogliere l’altro. E questa è la legge fondamentale. Solo allora si può capire come il dialogo diventa in fondo l’unica via per raggiungere l’unità, perché rispetta le differenze e al tempo stesso coglie ciò che di bene c’è e ciò che unisce”.

Si assiste negli ultimi anni in Europa all’avanzata dei populismi e dei movimenti cosiddetti sovranisti. In questo forse l’Europa deve fare un esame di coscienza: quali mancanze riconoscere e come cambiare rotta?

“Quello che può spiegare questa situazione è che l’Europa ha puntato molto sul benessere materiale. L’Europa ha elaborato a beneficio di tutto il mondo valori come quelli riassunti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, firmata dai leader mondiali, ma poi la tentazione di appiattirsi su un benessere di natura materiale, dimenticando quello che c’è di più profondo nell’animo umano, è una dura realtà. Raggiungendo i più grandi traguardi di civiltà l’Europa ha raggiunto anche un benessere che le ha fatto dimenticare i presupposti più profondi di una convivenza civile. Oggi ne stiamo pagando le conseguenze ma forse con fatica stiamo riscoprendo quei valori che avevamo dimenticati, che non significa che il benessere materiale non sia un valore, lo è ma nel giusto posto, insieme agli valori che però vengono prima”. 

Claudia Di Lorenzi

Intervista a Padre Heinrich Walter

Padre Heinrich Walter, Movimento di Schönstatt, in occasione della Veglia ecumenica a Roma 2017

Quale contributo può offrire Papa Francesco all’evoluzione di questa Europa, verso la costruzione di un’Europa più solidale e ispirata ai valori cristiani?

“Penso che il Papa, in quanto argentino, guarda all’Europa da una prospettiva diversa dalla nostra, più oggettiva, e comprende che all’Europa manca vitalità, perché è spaventata, ha paura. Papa Francesco è un entusiasta e comprende bene che il mondo ha bisogno di rinnovamento”.

Che testimonianza possono dare all’Europa le Chiese cristiane unite nella loro diversità?

“In questa Europa in crisi manca la libertà per ciascun Paese di collaborare secondo le proprie possibilità. Alcuni Paesi però subiscono una pressione eccessiva a causa dell’emergenza rifugiati. Serve allora in Europa una alleanza fra i Paesi, perché ciascuno con libertà possa offrire il proprio contributo”.

Claudia Di Lorenzi

Questa è l’Europa che vogliamo costruire

Veglia Ecumenica e internazionale – La fede si apre alla cultura

La sera del 24.3.2017 la Basilica dei XII Apostoli a Roma è strapiena di persone. Alla Vigilia del 60° anniversario dei Trattati di Roma si sono trovate più di 750 persone in una preghiera presieduta dal card. Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei Cristiani. Cattolici, protestanti, ortodossi, anglicani, clerici e laici hanno risposto all’invito di Insieme per l’Europa, iniziativa di 300 Movimenti e Comunità cristiani. Ne era esempio il coro composto da 8 Movimenti presenti a Roma e il coro della comunità rumeno-ortodossa.

Il Presidente dell’Italia, Sergio Mattarella, ha voluto far giungere a tutti partecipanti “sentimenti di ideale partecipazione, nella convinzione che momenti di incontro come questo diano un importante segno di speranza, necessaria per costruire un’Europa unita e solidale.”

Mons. Nunzio Galantino, Segretario generale CEI, Andrea Riccardi (fondatore della Comunità di Sant’Egidio), Gerhard Pross (attuale moderatore di Insieme per l’Europa) hanno parlato in vari momenti e sotto vari aspetti della crisi dell’Europa, provocata tra l’altro dagli egoismi nazionali, di gruppo ed individuali. Hanno lanciato sotto varie forme l’invito a credere ancora nel progetto dei Padri Fondatori dell’Europa: operare a favore della pace, della giustizia e della solidarietà nel mondo (cf. Preambolo del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, dichiarato dai Capi di Stato il 29.10.2004).

Su questo sfondo, l’inno Trisaghion “Dio è Santo Dio, Santo e forte”, cantato insieme da una folla profondamente toccata, è risuonato particolarmente forte e solenne.

Heinrich Walter, del Movimento di Schönstatt, ha sottolineato in un’intervista: “Ci sono due punti salienti nel cammino verso una nuova integrazione europea: bisogna coltivare le radici cristiane dell’Europa. Noi Movimenti ci impegniamo in questo. E bisogna rispettare la libertà dell’altro. Noi di Insieme per l’Europa proviamo a vivere così. E questa esperienza la vogliamo condividere con tutta l’Europa.”

Simeon Catsinas, parroco greco-ortodosso a Roma, dopo la Veglia ha voluto condividere la sua gioia: ”Sono felice di questa serata. Dobbiamo lavorare insieme come cristiani, dobbiamo dare testimonianza comune. È urgente che andiamo avanti insieme su questa strada.”

Alla domanda se il documento “Dal Conflitto alla comunione” sia un modello per l’Europa, il decano della Chiesa evangelica luterana in Italia (CEL), pastore Heiner Bludau, risponde: “Sicuramente il documento fa vedere un passo positivo. Ora deve incidere sempre più nella vita. Così potrà diventare un modello convincente per tutta l’Europa.”

Durante la Veglia le parole di alta politica e le parole della Sacra Scrittura suonavano quasi allo stesso livello. Jesùs Moràn, Co-presidente del Movimento dei Focolari, afferma: “L’Europa non si può pensare senza il cristianesimo. Il cristianesimo che ha formato l’Europa è il cristianesimo della Chiesa unita: quindi, la cattolicità ecumenica è la realtà più fondamentale dell’Europa. E l’Europa deve ritrovare sè stessa come civiltà del cristianesimo. I valori cristiani sono valori europei e viceversa. La cultura del dialogo, della tolleranza, dell’apertura, della fraternità possono essere vissuti al di là della confessione e religione, di ogni credo. Questa veglia servirà a risvegliare questi grandi valori.”

Oltre 4.000 persone hanno seguito l’evento in diretta, molte le condivisioni sui social media. Anche in altre 50 città europee si sono svolte simile initiative, con solennità e partecipazione.

La voce di Insieme per l’Europa si è fatta sentire!

Beatriz Lauenroth

Per vedere la galleria fotografica completa: //www.flickr.com/photos/fotomas2008/sets/72157681856163965

 

Immagino l’Europa così. La voce dei giovani

Il sogno europeo è stato, fin dalla sua creazione, un’occasione di superare quelle diffidenze reciproche tra i popoli europei e quei pregiudizi che li hanno accompagnati per diversi secoli.

Tuttavia, nella storia dell’integrazione europea il capitolo “giovani” è stato spesso sacrificato a favore di altri temi, non meno importanti, come l’ambiente o i diritti per i lavoratori. Le cose hanno iniziato a cambiare tra gli anni ’90 e il 2000, quando si sono pensati da una parte alcuni programmi di scambio giovanile, il più famoso l’Erasmus tra studenti universitari, dall’altro alcuni programmi di sostegno all’ occupazione come Garanzia Giovani.

L’ Europa è una prospettiva allettante per i giovani. Molti di loro la vedono come un’opportunità di creare veramente una comunità più vasta, di uomini e donne, che possano cercare punti di contatto tra culture e tradizioni che già oggi hanno una forte radice comune. L’Europa è anche un’opportunità di lavorare e di viaggiare, di ampliare i propri orizzonti e non sentirsi più chiusi nei nostri ormai angusti confini nazionali. Le manifestazioni dei giovani dopo la Brexit, che a gran voce chiedevano di rivedere il voto sull’ appartenenza all’Unione Europea, ci dice molto sull’ attaccamento che ormai molti ragazzi sentono nei confronti del nostro continente e dei nostri valori.

D’altra parte, chi pensa che tra i giovani prevalga una visione ottimista e rassicurante dell’Europa, si sbaglia. Ogni giorno la nostra generazione si chiede se effettivamente le promesse di benessere, materiale e spirituale, di uguaglianza tra i popoli europei e di amore tra le nostre nazioni siano state mantenute. L’ Italia ha il 40% di disoccupazione giovanile e, che sia colpa dei nostri governi o dell’Unione Europea, fatto sta che dove manca il lavoro manca la dignità (come sostenuto sia da Benedetto XVI che da Francesco). La reazione europea alla crisi economica e fiscale è stata lenta e insufficiente, aggravando le diseguaglianze e generando molta sofferenza. Se fino a 5-6 anni fa non una sola voce si levava contro il progetto europeo, oggi sono in molti a volersi allontanare da quel sogno, reputandolo ormai irrealizzabile. In questo contesto i giovani si rendono perfettamente e lucidamente conto dei problemi. La così detta “generazione Erasmus” si sta disaffezionando al sogno europeo, come indicano le preferenze di voto in Italia, Spagna e Francia.

Eppure, la prospettiva potrebbe cambiare ed essere rivoluzionata, nei pensieri di chi governa l’Europa, proprio dal futuro dei giovani. Quale mondo ci aspetterà? Una società divisa, ingiusta e piena di paura, oppure una che sia unita e rassicurante con i propri cittadini, che tuteli lo Stato di diritto e veda il futuro con speranza? La differenza tra avere l’Europa e non averla è proprio questa. Per salvare il futuro dei giovani, chi ci governa deve fare alcuni sacrifici. Non stiamo parlando di ridurre auto e stipendi, un obiettivo che ci sembra ormai raggiunto anche con troppa solerzia. No, il vero sacrificio è di rinunciare al potere per uno scopo più alto. Perché ancora non si è creato, per esempio, un ministero dell’economia europeo? Siamo un’Unione con una moneta e senza uno Stato. Perché non esiste una diplomazia europea? Mantenere relazioni diplomatiche ufficiali tra Paesi che fanno parte di quella che è, sotto molti punti di vista, quasi una confederazione (e i cui ministri si sentono quotidianamente) è solo uno spreco di denaro. Perché non esiste una vera elezione per il presidente della Commissione europea? Poter vedere, anche in televisione o nelle piazze, chi governerà l’Europa, potrebbe portare più responsabilità in alto e più consapevolezza in basso. Perché queste cose non si fanno o si procede lentamente, quasi con stanchezza?

Chi è cristiano conosce la risposta, perché conosce bene la differenza tra quel potere usato per sé stesso e quel potere il cui fine è il mantenimento della comunità, della quale i politici si devono prendere cura. I giovani sono certamente pronti a sostenere il sogno europeo, a patto che parta da una comunità di uomini e donne, non di interessi e regolamenti. E’ solo con un obiettivo comune e una consapevolezza di condividere lo stesso destino e lo stesso cammino che si può fare l’indispensabile salto culturale che serve alla nostra Europa. Un salto che si può fare anche domani perché, ancora una volta, è la scelta degli uomini che cambia il corso della storia.

 

di Federico Castiglioni (Roma, 17/11/88). Laureato in Scienze politiche, è attualmente dottorando in Studi europei ed internazionali presso l’Università Roma Tre. Ha pubblicato diversi articoli, divulgativi e scientifici, sempre affrontando temi legati all’ attualità europea o al ruolo dell’ Unione Europea nel mondo globale. E’ responsabile relazioni esterne dei Giovani Federalisti Europei (JEF Italy) e delegato presso il Forum italiano dei giovani.

Bauman “Sete di Pace”

“(…) Tutte le tappe e le fasi che ci sono state nella storia dell’umanità, avevano un denominatore comune: erano caratterizzate dall’inclusione da un lato e dall’esclusione dall’altro in cui c’era una identificazione reciproca, attraverso l’inclusione e l’esclusione.

Il “noi” si poteva misurare con l’ostilità reciproca. Il significato del “noi” era che noi non siamo loro.E il significato di loro era che loro non sono noi. Gli uni avevano bisogno degli altri per esistere come entità collegata l’una con l’altra e potersi identificare in un luogo o un gruppo di appartenenza. E’ stato così per tutta la storia dell’umanità.Questo ha portato a grandi spargimenti di sangue. Una forma di autoidentificazione che nasce dall’identificazione di qualcosa di altro rispetto al prossimo.

Oggi ci troviamo di fronte alla necessità ineludibile della prossima tappa in questa storia, nella quale stiamo espandendo la nozione di umanità.

Parlando di identità di se stessi, abbiamo un concetto di quello che includiamo in questa idea di umanità messa insieme. Direi che ci troviamo di fronte a un salto successivo che richiede l’abolizione del pronome loro. Fino a questo momento i nostri antenati avevano qualcosa in comune: un nemico. Ora, di fronte alla prospettiva di una umanità globale, dove lo troviamo questo nemico?

Ci troviamo nella realtà cosmopolita, quindi ogni cosa fatta anche nell’angolo più remoto del globo, ha impatto sul resto del nostro pianeta, sulle prospettive future. Siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri e non si può tornare indietro. (…)”

Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo, 18.09.2016 Assisi, all’Assemblea di apertura dell’incontro “Sete di Pace”

Mattarella sull’Europa dei giovani

“(…) Desidero, adesso, rivolgermi soprattutto ai giovani.

So bene che la vostra dignità è legata anche al lavoro. E so bene che oggi, nel nostro Paese, se per gli adulti il lavoro è insufficiente, sovente precario, talvolta sottopagato, lo è ancor più per voi.

La vostra è la generazione più istruita rispetto a quelle che vi hanno preceduto. Avete conoscenze e potenzialità molto grandi. Deve esservi assicurata la possibilità di essere protagonisti della vita sociale.

Molti di voi studiano o lavorano in altri Paesi d’Europa. Questa, spesso, è una grande opportunità. Ma deve essere una scelta libera. Se si è costretti a lasciare l’Italia per mancanza di occasioni, si è di fronte a una patologia, cui bisogna porre rimedio.

I giovani che decidono di farlo meritano, sempre, rispetto e sostegno.

E quando non si può riportare nel nostro Paese, l’esperienza maturata all’estero viene impoverita l’intera società.

Nel febbraio scorso, in una Università di New York, ho incontrato studenti di ogni continente. Una ragazza ha aperto il suo intervento dicendo di sentirsi cittadina europea, oltre che italiana.

Tante esperienze di giovani che condividono, con altri giovani europei, valori, idee, cultura, rendono evidente come l’Europa non sia semplicemente il prodotto di alcuni Trattati. Un Continente che, dopo essere stato, per secoli, diviso da inimicizie e guerre, ha scelto un cammino di pace e di sviluppo comune.

Quei giovani capiscono che le scelte del nostro tempo si affrontano meglio insieme. Comprendono, ancor di più, il valore della pacifica integrazione europea di fronte alla tragedia dei bambini di Aleppo, alle migliaia di persone annegate nel Mediterraneo e alle tante guerre in atto nel mondo.

E non accettano che l’Europa, contraddicendosi, si mostri divisa e inerte, come avviene per l’immigrazione.

Dall’Unione ci attendiamo gesti di concreta solidarietà sul problema della ripartizione dei profughi e della gestione, dignitosa, dei rimpatri di coloro che non hanno diritto all’asilo. (…)”

Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica italiana, dal discorso alla nazione, 31.12.2016

Orizzonti nuovi dopo Lund (Svezia)

Un anniversario in comunione

“È per me una grande gioia essere qui oggi, a dare testimonianza dell’opera dello Spirito Santo che semina unità tra i seguaci di Gesù. Lo Spirito Santo, con le parole di Martin Lutero, «chiama tutta la cristianità sulla terra, la raccoglie, illumina, santifica e mantiene in Gesù Cristo, nell’unica vera fede». Oggi, a Lund e a Malmö, sperimentiamo il miracolo moderno dello Spirito Santo così come i discepoli lo hanno sperimentato nella mia città natale di Gerusalemme duemila anni fa. Oggi, mentre ci riuniamo per esprimere la speranza di unità, ricordiamo la preghiera sacerdotale di Cristo «perché tutti siano una sola cosa […], perché il mondo creda» (Giovanni 17, 21). Ringraziamo il Dio Uno e Trino perché stiamo passando dal conflitto alla comunione.

L’incontro storico odierno trasmette al mondo intero il messaggio che gli impegni religiosi perseguiti con forza possono portare a una riconciliazione pacifica invece di apportare più conflitti al nostro mondo già tormentato. Quando persone religiose operano per l’unità e la riconciliazione, la religione può promuovere la prosperità di tutte le comunità umane. (…)”

Dal discorso del vescovo Munib Younan, presidente della Federazione luterana mondiale, Lund, 31/10/2016

Un anniversario in comunione – La commemorazione del quinto centenario della Riforma

Il cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, in un articolo sull’Osservatore Romano (17.1.2017) spiega il significato della commemorazione comune cattolico-luterana del quinto centenario dell’inizio della Riforma.

Koch ricorda la preghiera ecumenica di Papa Francesco a Lund il 31.10.2016 con il vescovo Munib Younan, Presidente della Federazione mondiale luterana (LWB) in occasione della ricorrenza della  Riforma. La preghiera storica “non è stata soltanto accolta con gratitudine, ma ha incontrato anche critiche e opposizioni. Mentre, da parte cattolica, si è temuta una deriva protestante del cattolicesimo, da parte protestante si è parlato di un tradimento della Riforma”. Invece – osserva Koch – la commemorazione di questo anniversario “si presenta a entrambe le parti come un gradito invito a dialogare su ciò che i cattolici possono imparare dalla Riforma e su ciò che i protestanti possono trarre dalla Chiesa cattolica come arricchimento per la propria fede”, superando ogni tono fazioso e polemico.

Martin Lutero allora “non voleva assolutamente la rottura con la Chiesa cattolica e la fondazione di una nuova Chiesa, ma aveva in mente il rinnovamento dell’intera cristianità nello spirito del Vangelo. (…) Il fatto che, all’epoca, questa sua idea di riforma non abbia potuto realizzarsi è dovuto in buona parte a fattori politici.”.

La commemorazione del 2017 – sottolinea ancora il porporato – deve essere intesa dunque “come un invito a ritornare alla preoccupazione originaria di Martin Lutero” alla luce di tre concetti chiave: gratitudine per i 50 anni di intenso dialogo tra cattolici e luterani, un pentimento pubblico accompagnato da una purificazione della memoria storica e la speranza che una commemorazione comune della Riforma possa permettere “di compiere ulteriori passi verso una comunione ecclesiale vincolante. Quest’ultima deve rimanere l’obiettivo di ogni sforzo ecumenico e, pertanto, è anche e precisamente a essa che deve mirare la commemorazione della Riforma. Dopo cinquecento anni di divisione, dopo aver vissuto per un lungo periodo in modo contrapposto o parallelo, dobbiamo imparare a vivere gli uni insieme agli altri vincolati più saldamente, e dobbiamo farlo già oggi.”

(riassunto di Beatriz Lauenroth)

Il Sogno di Papa Francesco

In occasione del Conferimento del Premio Carlo Magno a Roma, il 6 maggio 2016, Papa Francesco ha confidato il suo sogno per l’Europa

(…) Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, «un costante cammino di umanizzazione», cui servono «memoria, coraggio, sana e umana utopia».

Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita.

Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo.

Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto.

Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano.

Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile.

Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni.

Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti.

Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia. Grazie.

Conferimento del Premio Carlo Magno –  Stralcio dal discorso di Papa Francesco, Roma, Sala Regia, Venerdì, 6 maggio 2016

Per vedere il video: //www.youtube.com/watch?v=SMRhgPv9DAU

Per leggere il testo integrale: //w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/may/documents/papa-francesco_20160506_premio-carlo-magno.html

Uno Sguardo dalla Francia

UN PUNTO DI VISTA FRANCESE DOPO 60 ANNI DAI TRATTATI DI ROMA 

Ci siamo! Non ci siamo tutti ma siamo comunque arrivati a 28 paesi per festeggiare i 60 anni dell’Europa. Il 25 marzo 1957, data dei Trattati di Roma, solo 6 Paesi europei firmarono la creazione della Comunità Europea, che dal 1993 diventerà l’Unione Europea. Tra questi 6 Paesi fondatori c’era convintamente la Francia. Condotti dall’idea di Jean Monnet, che ha trovato un eco grazie alla voce di Robert Schuman, i francesi hanno accettato la grande idea europea.

Vista, come uno strumento di pace e di stabilità, l’idea d’Europa era al servizio dei Paesi per una ricostruzione veloce e più facile del continente. Dalla Francia e dai suoi dirigenti successivi l’Europa fu considerata anche (forse soprattutto) come un trampolino verso un potere e un’influenza più larga, perché di dimensione europea. L’amore per la patria francese, la difesa dei valori nazionali e l’influenza della Francia nel mondo hanno caratterizzato l’azione della Francia nel processo d’integrazione europea. Come ha ricordato il Generale De Gaulle nel 1954: toccare la sovranità francese non faceva parte del “contratto europeo” e la Francia l’ha mostrato fino ad oggi.

Tuttavia, i grandi padri fondatori francesi, che amavano l’Europa quanto la Francia stessa, hanno fortunatamente lasciato una progenie fertile. Molti presidenti francesi, Valéry Giscard d’Estaing in testa, hanno continuato ad adoperarsi per la causa europea. D’Estaing, riprendendo i discorsi pieni di speranza dei padri fondatori, ha lasciato sognare (come Jacques Delors) un’Unione Europea politica: un’unione dei popoli europei, unita, ma rispettosa della diversità di ogni cultura e religione.

Nel 2005, per il referendum sulla costituzione europea, i francesi hanno però ricordato che, se la politica e i dirigenti possono fare molto, essi sono impotenti senza il consenso popolare. Il referendum per la costituzione europea è stato infatti respinto dalla maggioranza dei francesi. L’esperienza del 2005 è sicuramente la dimostrazione più chiara del punto di vista francese sull’Unione. E’ un ritornello che i francesi intonano spesso: se l’Unione Europea è necessaria, avere più Europa “sarebbe troppo”. Troppo perché? Perché i francesi come numerosi popoli europei hanno paura di essere inglobati in un’Europa sovranazionale, dove non ci sarebbe più distinzione tra un francese e un italiano, dove la particolarità e la sovranità di ogni Paese sarebbero assorbite da un grande “Tutto Europeo”.

Oggi, se i francesi accettano l’Europa, è perché sentono valorizzata la loro identità e il loro ordine socio-economico. Ma, ancor di più, i francesi accettano l’Europa, perché condividono i valori primari che sono la base dell’Europa dal 1957: la solidarietà, la condivisione, la libertà, la pace e la fratellanza tra i popoli. Tutti quei valori, quindi, che sono per la maggior parte di derivazione cristiana e che sono quello che i francesi vedono nell’Europa. Tralasciando le implicazioni religiose, si sentono attaccati a questi fondamenti morali che sono la base dell’Europa di oggi. Anche se pensare questi valori e rivendicarli non vuol dire sempre applicarli – lo vediamo nell’attuale crisi dei rifugiati –, rimane il fatto che i francesi si sentono parte costituente di questa realtà europea.

Il 25 marzo 2017 saranno celebrati i 60 anni dei Trattati di Roma a Roma. L’anniversario ci ricorda quindi che l’Europa è giovane! I diversi eventi, congressi e la marcia per l’Europa saranno dei momenti forti.  Al di là della necessità del rilancio politico europeo, sarà anche l’occasione di richiamare i valori cristiani che sono comuni a tutti i popoli europei. Questi valori saranno, secondo me, la base del rilancio europeo, perché sono ora i soli che non sono fonte di paura, ma d’unità.

 

 

Marie Trélat, studentessa francese di Scienze Politiche, specializzata sull’Unione Europea, in particolare sull’Europa centrale ed orientale. Vive attualmente a Roma (progetto Erasmus) e frequenta l’Università LUISS Guido Carli. E’ membro della GFE – Roma (Gioventù federalista europea) e si occupa dell’ufficio relazioni internazionali della sezione di Roma. Per 5 mesi ha lavorato alla redazione francese di Radio Vaticana

Uno Sguardo dalla Germania

60 ANNI  “TRATTATI DI ROMA”  24 / 25 MARZO 2017

Il 25 Marzo 1957 con la volontà compatta di creare le fondamenta per una collaborazione sempre più stretta tra i Paesi europei e decisi a salvaguardare lo sviluppo economico e sociale di ogni singolo Paese attraverso un agire comune, che avrebbe potuto togliere le barriere che dividono l’Europa e salvaguardare e consolidare la pace e la libertà, 6 Paesi europei: Germania, Francia, Italia e i Paesi del Benelux hanno deciso di creare  una “Comunità Economica”, basata su quel fondamento di pace, riconciliazione e collaborazione che viene menzionato all’inizio del trattato.

Allo stesso tempo tutti gli altri Stati europei sono stati invitati a “collegarsi a questo sforzo”.

La fondazione della “Comunità Economica Europea” significava molto di più di una ricerca di vantaggi, perché già all’inizio degli anni Cinquanta  il ministro degli esteri francese Robert Schuman (1886-1963) aveva affermato che la pace in Europa poteva essere assicurata sufficientemente solo se si riusciva a controllare insieme le risorse minerarie usate a fini bellici, come il carbone e l’acciaio.

In più, in questo trattato la Germania veniva accettata come partner alla pari già solo 12 anni dopo la guerra.

Questo significava un passo decisivo verso la riconciliazione sul continente europeo, in cui Francia e Germania avevano un ruolo determinante.

Dal 1992 entra in vigore l’Unione Europea per l’unione politica del continente. Però questo non è pensabile senza considerare il trattato firmato a Roma che dava origine alla “Comunità economica europea”, cioè i “Trattati di Roma”.

Questo trattato è da considerare come un atto di nascita dell’Europa unita, anche se nei dettagli si occupa di disposizioni come l’importazione, l’esportazione, i rapporti con le dogane, i tribunali, l’orientamento della politica economica, la libera circolazione delle merci e la creazione di commissioni.

Importante è l’intenzione con cui é stato concepito e questo è spiegato molto chiaramente nel preambolo: Un’Unione per eliminare barriere, conservare la pace e la libertà, promuovere lo sviluppo e così migliorare le condizioni di vita per gli uomini in Europa –  e questo insieme agli ex nemici di guerra.

 

 

 

di Sr. PD Dr. Nicole Grochowina della Christusbruderschaft Selbitz (Germania), dal 2012 docente di storia moderna all’Università di Erlangen/Norimberga. E’ membro del Comitato di Orientamento di Insieme per l’Europa e del Comitato di esperti di ecumenismo della Chiesa evangelica bavarese.

Uno Sguardo dall’Italia

I TRATTATI DI ROMA E L’UNIONE EUROPEA

Il 25 marzo 1957 vengono firmati i Trattati di Roma, considerati come l’atto di nascita della grande famiglia europea. Il primo istituisce una Comunità economica europea (CEE), il secondo invece è l’Euratom, per la ricerca comune sull’uso pacifico dell’energia nucleare.

Il Trattato CEE riunisce gli stati firmatari, Francia, Germania, Italia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi in una Comunità con l’obiettivo, come ricorda l’art. 2, di creare un mercato comune e favorire la trasformazione delle condizioni economiche degli scambi e della produzione nella Comunità.

Ma ha anche un obiettivo più politico: contribuire alla costruzione funzionale dell’Europa politica, verso un’unificazione più ampia dell’Europa. Come dichiarano nel preambolo i firmatari del Trattato: «essere determinati a porre le fondamenta di un’unione sempre più stretta fra i popoli europei».

I Trattati di Roma erano stati preceduti dalla firma, nel 1951, del cosiddetto Trattato di Parigi, che aveva costituito la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA): con il controllo comune di queste industrie si intendeva evitare il riarmo unilaterale di uno degli Stati membri.

Infatti, il tentativo di promuovere l’unione europea a livello politico ed economico era nato da un desiderio emerso dopo la Seconda Guerra mondiale: integrare gli Stati europei in modo da rendere impossibile un’altra guerra.

«Per la pace futura la creazione di un’Europa dinamica è indispensabile…Bisogna abbandonare le vie del passato ed entrare in una via di trasformazione… L’Europa non è mai esistita. Non è la somma di sovranità riunite in consigli che crea un’entità. Bisogna creare davvero l’Europa» (Jean Monnet, Memorandum, 3 maggio 1950).

«La pace mondiale non potrebbe essere salvaguardata senza sforzi creativi all’altezza dei pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e viva può fornire alla civiltà è indispensabile al mantenimento delle relazioni pacifiche…

L’Europa non potrà farsi una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto» (Robert Schuman, 9 maggio 1950).

«Ricostruiamo la pace all’interno e all’estero. E soprattutto, per ottenerla, diamo testimonianza di disciplina, di ordine, di buona volontà, di lavoro, cerchiamo la migliore distribuzione possibile dei beni della terra per superare quelle difficoltà che sono naturali, ma che si superano, se gli uomini sono pronti al sacrificio e sanno che bisogna, per vincere, avere fede assoluta nella Provvidenza Divina» (Alcide De Gasperi, 20 aprile 1950)

Le vicende dell’unione europea, tra straordinarie spinte ma anche bruschi arresti, hanno portato negli anni alla firma di ulteriori trattati (//www.politicheeuropee.it/normativa/19635/lue-e-i-suoi-trattati) con la creazione delle varie Istituzioni come il Parlamento Europeo, la Commissione Europea, il Consiglio d’Europa e così via.

 

 

di Maria Bruna Romito, Movimento dei Focolari, laureata in Storia. Ha vissuto dall’89 al 2000 in Ungheria, dove ha insegnato italiano e storia al liceo e all’università cattolica di Budapest. Attualmente vive a Roma e lavora presso il Pontificio Consiglio della Cultura.